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Parliamo di musica. Édith Piaf
a cura di Umberto Basevi
Edith Piaf nasce in un sobborgo affollato e soffocante della Parigi più disperata del primo dopoguerra. Se i miracoli esistono, allora uno è sicuramente quello della sua voce racchiusa in un corpo minuto e delicato. Nel 1935 incontra Louis Leplée, proprietario del Gerny’s, un salone di cabaret degli Champs-Elysées molto in voga all’epoca e qui la giovane Edith Gassion viene presentata al pubblico come la “Mome Piaf”. Il successo è immediato, le prime critiche parlano già di fenomeno, ma dopo qualche tempo, quando Leplée muore, la stella di Edith sembra doversi spegnere per sempre insieme a quella del suo pigmalione. Ma come l’araba fenice la giovane Mome Piaf risorge dalle sue ceneri e rinasce come Edith Piaf, l’artista che tutto il mondo ha conosciuto ed amato, l’artista che senza orpelli, nell’assoluta essenzialità si presentava al pubblico col suo anonimo abito nero. L’amore è stato uno dei grandi motori della sua vita. Consumata dall’alcool e dalla droga che le permette di sopportare i terribili dolori procurati dall’artrosi deformante da cui è affetta, Edith Piaf passa da grandi trionfi a malori a scena aperta, che la costringono poi definitivamente ad abbandonare per sempre le luci della ribalta. Si spegne nel 1963 a soli 47 anni. Uno dei suoi ultimi successi è stato “Non je ne regrette rien”, che può considerarsi il suo testamento morale, in quanto esprime la voglia di ritornare, di cancellare il passato guardando sempre avanti, fedele sempre a sé stessa e a quella sua filosofia di vita che le ha permesso di vedere sempre la vie en rose.
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